Gli stereotipi:
Spesso e volentieri, purtroppo, le distorsioni cognitive e i biases possono portare alla formazioni di giudizi o percezioni che si rivelano poco accurati e disfunzionali per il nostro modo di percepire e relazionarci con l’altro.
Nella psicologia sociale il termine stereotipo, nacque in ambito tipografico molto tempo fa, e indicava gli stampi di cartapesta usati per le lettere. La caratteristica che li rendeva unici era il poterli utilizzare più volte perché molto rigidi e resistenti. Lippmann (1992), per primo introdusse questo concetto nelle scienze sociali asserendo che il processo di conoscenza non è diretto, ma mediato da immagini mentali costruite in relazione a come ognuno di noi recepisce e percepisce la realtà.
Nella psicologia sociale il termine stereotipo, nacque in ambito tipografico molto tempo fa, e indicava gli stampi di cartapesta usati per le lettere. La caratteristica che li rendeva unici era il poterli utilizzare più volte perché molto rigidi e resistenti. Lippmann (1992), per primo introdusse questo concetto nelle scienze sociali asserendo che il processo di conoscenza non è diretto, ma mediato da immagini mentali costruite in relazione a come ognuno di noi recepisce e percepisce la realtà.
Gli stereotipi, dunque, sono delle particolari rappresentazioni mentali, o idee sulla realtà, che se dovessero essere condivise da grandi masse in determinati gruppi sociali, prenderebbero il nome di stereotipi sociali. Gli stereotipi sono molto simili a degli schemi mentali e per questo sono considerati affini alle euristiche. Permettono di attribuire, senza nessuna distinzione o critica, delle caratteristiche a un’intera categoria di persone, non curanti delle possibili differenze che potrebbero, invece, essere rilevate. Per questo, gli stereotipi sono spesso delle valutazioni o giudizi grossolani non del tutto corretti. Si tratta di idee difficilmente criticabili (rigidità degli stereotipi), in quanto ancorate alla provenienza culturale o alla personalità.
Insomma, lo stereotipo non è nient’altro che un giudizio che si forma su una determinata cultura o classe sociale. Questo giudizio può diventare pregiudizio quando non deriva da una conoscenza diretta, ma appresa. Il più delle volte si tratta di valutazioni spicce legate sempre a giudizio negativo non sottoponibile alla critica. Non si tratta di un concetto errato, sbagliato, ma di un pregiudizio vero e proprio. Un pensiero, dunque, diventa pregiudizio solo quando resta irreversibile anche alla luce di nuove conoscenze. Il pregiudizio su alcune categorie di persone, spesso, induce a modificare il proprio comportamento sulla base di queste credenze. Si creano, così, condizioni tali per cui le ipotesi effettuate sulla base di pregiudizi ineluttabilmente si manifestano e la conseguenza è andare a confermare gli stereotipi.
È possibile eliminare i pregiudizi? Non è qualcosa di immediato, perché i pregiudizi hanno delle basi molto solide confermate da credenze fortuitamente verificatesi. Solo una grossa forza di volontà e intenzione di entrare realmente in contatto con l’altro potrebbe portare, alla lunga, a mettere in discussione queste forme di rigidità di pensiero.
La costruzione del Sè:
Nella psicologia sociale si indaga come avviene la costruzione del sè. Il processo mediante cui l’individuo si autovaluta è dovuto anche alle attribuzioni causali: le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa. Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.
Definire il costrutto di autostima non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che ha un’ampia storia di elaborazioni teoriche.
L’autostima di una persona non scaturisce esclusivamente da fattori interiori individuali: hanno una certa influenza anche i cosiddetti confronti che l’individuo fa, consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive. A costituire il processo di formazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e il sé ideale.
Il sé reale è una visione oggettiva delle proprie abilità, corrisponde a ciò che noi realmente siamo. Il sé ideale corrisponde a come l’individuo spera e vorrebbe essere. L’autostima scaturisce dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.
La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale. Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).
Possedere un’alta autostima è il risultato di una limitata differenza tra il sé reale e il sé ideale. Significa saper riconoscere in maniera realistica di avere sia pregi che difetti, impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzando i propri punti di forza. Tutto ciò enfatizza una maggiore apertura all’ambiente, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità. Le persone con un’alta autostima dimostrano una maggiore perseveranza nel riuscire in un’attività che le appassiona o nel raggiungere un obiettivo a cui tengono e sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco. Si tratta di persone più propense a relativizzare un insuccesso e ad impegnarsi in nuove imprese che le aiutano a dimenticare.
Quando la stima di sé è alta l’individuo passa molto frequentemente all’azione, rallegrandosi di fronte a un successo e relativizzando un eventuale fallimento. Al contrario, una bassa autostima scaturisce da un’elevata differenza tra sé ideale e sé percepito. Questa discrepanza può condurre a una ridotta partecipazione e a uno scarso entusiasmo, che si concretizzano in situazioni di demotivazione in cui predominano disimpegno e disinteresse. Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza. Spesso si tende a evadere anche dalle situazioni più banali per timore di un rifiuto da parte degli altri. Si è più vulnerabili e meno autonomi. Le persone con una bassa autostima si arrendono molto più facilmente quando si tratta di raggiungere un obiettivo, soprattutto se incontrano qualche difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano. Si tratta di persone che faticano ad abbandonare i sentimenti di delusione e di amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso. Inoltre, di fronte alle critiche, sono molto sensibili all’intensità e alla durata del disagio provocato. Quando la stima di sé è bassa, l’individuo passa raramente all’ azione, dubitando di fronte ad un proprio successo e sottovalutandosi di fronte ad un fallimento.
Ma cosa concorre a far sì che un individuo si valuti positivamente o negativamente? Come già detto non sono semplici fattori individuali a costituire l’autostima di una persona, bensì ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:
1. Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente.
Si tratta del cosiddetto “specchio sociale”: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo. Pare che gli individui alimentino la propria autostima sulla base della fiducia nelle opinioni di chi li giudica favorevolmente. Una rilevanza evidente le hanno in questo processo anche le valutazioni indirette, ossia la possibilità di imparare a valutare se stessi a seconda del comportamento degli altri nei propri confronti.
2. Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con gli altri che la circondano e da questo confronto ne scaturisce una valutazione. Festinger (1954) ha sostenuto che in ogni individuo c’è un’esigenza di valutare azioni e capacità personali e, nel momento in cui i criteri soggettivi di valutazione sono assenti, si tende a valutare se stessi confrontandosi con altri, solitamente soggetti ritenuti simili.
3. Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955) considera ogni persona uno “scienziato” che osserva, interpreta e predice ogni comportamento, costruendo così una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.
Alla luce di queste considerazioni si evince quindi che l’autostima è un concetto complesso che viene a formarsi sulla base di varie fonti, sulla base delle quali l’individuo si valuta e si attribuisce un voto. Senza dimenticare che si tratta di un costrutto multidimensionale, nel senso che il soggetto può valutarsi differentemente anche in merito alle situazioni in cui si trova a vivere; per esempio è possibile che un individuo abbia un’alta stima di sé sul luogo del lavoro, dove ciò che egli realmente è si avvicina notevolmente al sé ideale, di contro potrebbe valutarsi negativamente nell’ambito dei rapporti interpersonali, dove magari potrebbe aspirare a volere qualcosa di più rispetto a ciò che egli possiede realmente.
In conclusione appare chiaro che l’autostima si sviluppa tramite un processo individuale ma anche interattivo – relazionale e può essere concettualizzata come uno schema cognitivo – comportamentale che viene appreso man mano che gli individui interagiscono con gli altri e con l’ambiente.
Definire il costrutto di autostima non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che ha un’ampia storia di elaborazioni teoriche.
La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale. Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).
1. Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente.
Si tratta del cosiddetto “specchio sociale”: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo. Pare che gli individui alimentino la propria autostima sulla base della fiducia nelle opinioni di chi li giudica favorevolmente. Una rilevanza evidente le hanno in questo processo anche le valutazioni indirette, ossia la possibilità di imparare a valutare se stessi a seconda del comportamento degli altri nei propri confronti.
2. Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con gli altri che la circondano e da questo confronto ne scaturisce una valutazione. Festinger (1954) ha sostenuto che in ogni individuo c’è un’esigenza di valutare azioni e capacità personali e, nel momento in cui i criteri soggettivi di valutazione sono assenti, si tende a valutare se stessi confrontandosi con altri, solitamente soggetti ritenuti simili.
3. Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955) considera ogni persona uno “scienziato” che osserva, interpreta e predice ogni comportamento, costruendo così una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.
In conclusione appare chiaro che l’autostima si sviluppa tramite un processo individuale ma anche interattivo – relazionale e può essere concettualizzata come uno schema cognitivo – comportamentale che viene appreso man mano che gli individui interagiscono con gli altri e con l’ambiente.
Un altro tema del quale si occupa la psicologia sociale è quello dell’identità sociale. Nel corso del ciclo vitale l’individuo costruisce l’identità sociale. Tale costrutto è composto da due dimensioni, una privata per se stessi e una pubblica per gli altri. Spesso l’identità per sé contiene le costrizioni che le agenzie formative hanno imposto durante l’età evolutiva. Nelle situazioni di stress capita, sovente, di percepire con più forza questi vincoli e allora non resta che riscoprire se stessi, in un’ottica liberatoria, per ristabilire l’equilibrio psicologico.
Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/tag/psicologia-sociale/
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