giovedì 26 marzo 2020

Persone, etnie, classi e casti


Il corpo

Attraverso il nostro corpo l’individuo sente, percepisce, comunica, soffre e desidera. Il corpo è un mezzo attraverso il quale entriamo in relazione con l’ambiente che ci circonda. Noi comprendiamo il mondo che ci circonda perché il nostro corpo è stato esposto fin dalla nascita alle “regolarità” di quel mondo. Tale comprensione deriva da una forma di ragionamento istintivo e naturale.
Il nostro corpo reagisce di fronte agli stimoli esterni quai sempre in base a modelli che abbiamo imparati dalla cultura nella quale siamo cresciuti. Pierre Bourdieu ha chiamato questa conoscenza “incorporata” habitus. Il nostro habitus varia tanto sulla base delle nostre particolari caratteristiche psicofisiche quanto a seconda dei modelli di comportamento e delle rappresentazioni che noi assimiliamo. Anche le emozioni e i sentimenti sono “incanalati”, cioè “incorporati”. Questo modo di “essere nel mondo”, attraverso il corpo, è culturalmente orientato es è stato fatto oggetto di speciali attenzioni sin dall’antichità. Il nostro corpo è “culturalmente disciplinato”, come ha sottolineato il filosofo Michel Foucault in un suo studio sui meccanismi di controllo e di repressione nell’Europa dell’età moderna.
Il corpo degli esseri umani è “culturalmente disciplinato” e le tecniche che sono preposte all’attuazione di tale dipendono a loro volta dai modelli culturali in vigore. La società cerca di imprimere nel corpo degli individui i “segni” della propria presenza. Gli individui sono esseri sociali. Tatuaggi, pitture, perforazioni, avulsioni di denti ecc. sembrano essere tutte pratiche finalizzate a ciò che alcuni antropologi hanno chiamato “fabbricazione dell’uomo” da parte della società. In Occidente queste pratiche si sono attenuate a partire dall’età moderna. 
Il corpo è da una parte la materia sulla quale la società cerca di imporre una determinata “marca d’identità” e dal punto di vista dell’individuo è anche “un luogo di messa in scena del Sé”, come ha definito David Le Breton.

Ci sono popoli presso i quali mostrarsi nudi o seminudi è ritenuto normale, tanto per gli uomini che per le donne. Per tanti popoli era il caso prima della colonizzazione e oggi è ancora il caso di molte società amazzoniche e dell’Africa subsahariana. Altre culture, pur controllando in maniera rigida le donne sul piano del comportamento sessuale, consentono l’esposizione di parte del corpo femminile che altre culture ritengono troppo provocanti o addirittura “indecenti”. Inoltre, il punto rosso disegnato al centro della fronte di alcune donne segnala che esse sono in età fertile.
Per contro, vi sono popoli presso i quali il corpo femminile deve rimanere nascosto, si devono nascondere per il più possibile allo sguardo degli individui dell’altro sesso e degli estranei. Per questo alcune culture hanno costruito delle vere e proprie “barriere visive”. Il caso più estremo è dato dalla burqa afghana, che noi siamo abituati a chiamare il burqa, al maschile. La burqa ha una lunga storia per lo più sconosciuta in Occidente e, almeno all’origine, non ha nulla di veramente islamico. 
In Occidente è nato anche la moda della tintarella, al punto che l’abbronzatura è diventata una pratica ottenuta spesso con mezzi artificiali. Perché fino agli inizi del Novecento era inconcepibile persino il fatto di spogliarsi per prendere il sole in riva al mare. Però le signore e i gentiluomini non facevano per abbronzarsi. Ombrellini, tende, cappelli, gonnelloni tutto doveva far sì che la pelle rimanesse bianca la più immacolata possibile.  

Emozioni e sentimenti come elementi costitutivi del Sé

Le emozioni e la loro espressione sono aspetti importanti nella costruzione del soggetto umano, in relazione sia al mondo interiore si al mondo esteriore. Nella vita interiore di una persona non sempre è facile distinguere tra sentimenti, emozioni e sensazioni. 
Gli antropologi sono d’accordo che gli stati d’animo non sono universali, o meglio, non sono espressi ovunque nella stessa maniera. Gli emozioni in generale sono sempre modulate in relazione a una serie complessa di fattori: età, genere, posizione sociale, contesto pubblico o privato, concezioni locali della mente e del corpo, nonché le disposizioni individuali che sono alla base di ciò che noi chiamiamo il “carattere di una persona”. I cinesi per esempio sono abituati sin dall’infanzia a mascherare le loro emozioni.
Gli Ifaluk sono un piccolo popolo di un’isola della Micronesia e loro possiedono due nozioni: metagu e song. Il primo termine sta per “paura, il secondo per “collera giustificata”. Questi due termini sono nozioni complementari. Song è quella di un genitore o di un capo verso il trasgressore della norma. Metagu è la risposta appropriata a song. Il bambino ifaluk impara a introiettare il metagu prima possibile, così da poterlo esprimere corettamente e non subire il song di un genitore o di un capo. 
L’espressione del sentimento d’amore tra i beduini egiziani trova un canale privilegiato nella poesia orale. Si pensa che la poesia sia l’unico mezzo con cui tale sentimento può essere espresso in una società in cui l’affetto e l’attrazione sessuale fra una donna e un uomo sono considerati distruttivi per l’ordine sociale, fondato sulla solidarietà tra individui consanguinei e sul rispetto dell’autorità dei più anziani. 

Gli Ilongot possiedono una nozione che serve a esprimere uno stato d’animo che cambia la rabbia, la passione e il dolore: liget. Esso si manifesta quando una persona cara muore inducendo un uomo a desiderare di uccidere un nemico e tagliargli la testa. Liget è la passione. Gli Ilongot con considerano il liget uno stato auspicabile del loro cuore, tutt’altro. Essi lo giudicano un “cattivo sentimento”, opposto alla ponderatezza e alla “conoscenza”, oltre che a una serie di altri stati positivi connessi con la tranquillità del cuore.  La “conoscenza” viene definito come beya e liget e beya sembrano che costituiscono i poli concettuali entro i quali gli Ilongot sviluppano le loro visioni e i loro giudizi relativi alla vita interpersonale ed emotiva, tanto individuale quanto collettiva. 

In generale, gli studi delle emozioni si sono adoperati a tradurre quelle parole che, in determinati contesti sociali, vengono usate per esprimere particolari stati d’animo. Il problema però non è soltanto terminologico, ma si lega a modelli culturali e di comportamento anche molto lontani dai nostri.


 PAROLA E MONDO

Gli individui delle culture fortemente orali hanno una memoria ben salda siccome riescono a ricordare cose che per un individuo alfabetizzato sono spesso impossibili da ricordare senza l’aiuto di una traccia scritta. In certe culture si ritiene che i nomi abbiano un potere sulle cose e sugli essere umani.

 SCRITTURA, ORALITÀ E MEMORIA
La diffusione della scrittura ha inciso sul modo di pensare degli esseri umani. Prima della scrittura e della sua diffusione, le tecniche di memorizzazione erano diverse. Laddove la scrittura è assente, 
si ricorre a tecniche mnemoniche. Queste tecniche però tendono a produrre effetti omeostatici, la memoria tende cioè ad eliminare tutto ciò che non ha interessa per il presente. La scrittura, quando comparve e si diffuse, rappresentò un “addomesticamento del pensiero”. Essa ebbe tre importanti rilessi sul pensiero: facilità lo sviluppo e la diffusione del pensiero astratto e dei suoi strumenti logici e linguistici; favorisce un ampliamento della memoria; permette di analizzare e definire, confrontare e ricordare sequenze argomentative e logiche.

I MEDIA E LA NUOVA “COMUNICAZIONE GLOBALE”
Dagli anni Settanta iniziarono a diffondersi i media. I media sono produttori di cultura, nel senso che orientano comportamenti, gusti, valori, costumi, idee politiche, religiose, estetiche. La televisione divenne la più importante tra tutti i media. Essa è un mezzo facilmente accessibile e di amplia portata e per questo motivo è un mezzo culturalmente influente. Ciò che arriva dai media ha un potere tale da condizionare sempre e comunque l’agire dei singoli.

LA CLASSIFICAZIONE DEL MONDO
Tutti i popoli possiedono una conoscenza più o meno ricca e complessa dell’ordine della natura. L’etnoscienza è lo studio di come le differenti culture organizzano le proprie conoscenze del mondo naturale. Tali conoscenze possiedono gradi di sistematicità e di coerenza notevoli, sebbene differenti e meno esatti di quelli elaborati dalla scienza moderna. Due antropologi americani, Berlin e Kay, fecero un’analisi sulla classificazione dei colori e giunsero a tre conclusioni: tutti gli esseri umani sono in grado di percepire tutte le gradazioni del colore, la terminologia cromatica di base si sviluppa secondo una linea precisa, il numero dei termini per indicare i colori sono in relazione con la complessità culturale e tecnologica della cultura in questione.



 TEMPO E SPAZIO: DUE CATEGORIE DELLA MENTE
Due categorie fondamentali sono il tempo, le relazioni di anteriorità, contemporaneità e successione tra eventi, e lo spazio, le relazioni di contiguità, lontananza e vicinanza tra fenomeni. Tempo e spazio, come affermò il filosofo Immanuel Kant, costituiscono delle istituzioni a priori universali e questa capacità percettiva rappresenta la funzione primaria della nostra attività mentale. Infatti senza di essa non si potrebbe dare forma al pensiero. Da questa affermazione, si possono trarre delle conclusioni:
•non possiamo pensare al di fuori di un tempo e di uno spazio;
•tempo e spazio sono dimensioni costitutive di qualunque modo di pensare;
•tutti gli esseri umani hanno ben chiaro che esistono un prima, un dopo e un adesso.
Secondo Emile Durkheim il tempo e lo spazio sono delle istituzioni sociali, è quindi lo stile di pensiero di una società a determinarne la definizione di tempo e spazio, in base al contesto in cui vive. In molte società esiste un doppio legame temporale e si tratta di società rurali che sono state inglobate in sistemi statuali a base urbana e commerciale.
Le intuizioni del tempo e dello spazio precedono ogni esperienza e la rendono possibile. Al di là delle loro universalità, queste intuizioni sono influenzate dal contesto culturale e dal sistema cognitivo di appartenenza: avremo così categorizzazioni spaziali e temporali qualitative o quantitative.
Pensare, comunicare, classificare


 IL PENSIERO: CONCRETO E ASTRATTO
I modi di comunicare sono diversi da cultura a cultura, anche se non esiste un modello rigido all’interno di nessuna di esse. A modi di comunicare diversi corrispondono modi di pensare diversi. Il pensiero si divide in concreto, ossia un pensiero che ha come fondamento l’esperienza, è affatto, ossia un pensiero che elabora generalizzazioni e concetti al di là delle proprietà fisiche. La comunicazione invece si divide in orale, ossia ogni comunicazione che utilizza come mezzi la voce e il linguaggio parlato, e scritta, ossia la comunicazione che usa segni convenzionali come mezzi per fissare e trasmettere il linguaggio. Tutti gli esseri umani sono dotati più o meno delle stesse capacità sensoriali e intellettuali e, se vi sono differenze tra loro, queste di manifestano all’interno di tutte le culture e non tra le culture. Lévi-Strauss osserva nel suo libro le differenze tra il pensiero primitivo è quello moderno. Nel pensiero primitivo gli aspetti speculativi, riflessivi e teoretici sono utilizzati solo per ordinare esperienze concrete. In quello scientifico moderno sono usati anche in contesti astratti.


COMUNICAZIONE ORALE E COMUNICAZIONE SCRITTA

Fino a non molto tempo fa esistevano le cosiddette società a oralità primitiva. Si tratta di società che non conoscevano alcuna forma di scrittura. Oggi queste società non esistono più. Esistono però delle società i cui componenti sanno che cos’è la scrittura ma non la usano o raramente.
La scrittura comparve in Mesopotamia con il popolo dei sumeri ed è conosciuta come scrittura cuneiforme. La scrittura alfabetica risale al XIV secolo a. C. e fu inventata dai fenici.
Gli attuali cantastorie e poeti hanno un modo di recitare simile a quello dei poeti-cantori dell’antichità   e trasmettono i loro testi attraverso metodi orali. Per imparare le storie essi si affidato a tecniche mnemoniche.

 QUESTIONI DI INTELLIGENZA

Tutti gli esseri umani possiedono analoghe potenzialità intellettuali e esse prendono direzioni diverse a seconda del contesto sociale e culturale. Esse si dividono in:
•astrazione: capacità di isolare un aspetto da un complesso di elementi;
•categorizzazione: capacità di raggruppare gli elementi in gruppi;
•induzione: capacità di procedere dallo specifico al generale ;
•deduzione: capacità di passare dal generale allo specifico.


Queste capacità vengono adattate a diverse strategie funzionali, le quali dipendono da fattori sociali, culturali, psicologici, affettivi. Gli individui provenienti da ambiti culturali diversi, si rapportano al mondo sul piano cognitivo diversamente. Questi stili cognitivi oscillano tra due estremi ideali: uno stile cognitivo globale e uno stile cognitivo articolato. Il primo è caratterizzato da una disposizione cognitiva che parte dalla totalità del fenomeno per giungere agli elementi di cui si compone. Lo stile articolato parte dalla considerazione dei singoli elementi per giungere poi alla totalità. Tutti gli esseri umani attualmente tendono a comportarsi a seconda delle situazioni in cui si trovano a esercitare la propria attenzione e ragionamento.

La parola come forza creatrice


Lo scrittore e viaggiatore Bruce Chatwin scrive un importante libro “Le vie dei canti” sulla funzione della parola nella concezione del mondo degli aborigeni. Gli aborigeni sono un esempio molto chiaro per spiegare la “potenza” della parola. La parola non funge solo da mezzo per comunicare, ma diviene perfino elemento fondamentale per la creazione del mondo. Secondo gli aborigeni la creazione avvenne per mezzo del canto degli antenati e proprio tramite il canto è possibile ripercorrere le “vie” attraverso cui avvenne la creazione. 

Dal brano si capisce l’importanza della parola nella società degli aborigeni australiani. Anche nelle società fondate sulla scrittura rimangono alcuni elementi di oralità. Secondo me l’oralità ricopre un ruolo fondamentale. Grazie alla comunicazione orale, possiamo comunicare con estranei e risolvere possibili conflitti. Perciò è importante conoscere alcune lingue e parlare in modo chiaro e comprensibile a tutti individui. 

Riassunto Rousseau 

La pedagogia secondo natura


In questo post cercheremo di fare un riassunto della pedagogia di Rousseau e della sua concezione di educazione secondo natura.
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) promuove una pedagogia secondo natura, un’educazione naturale capace di preservare nell’uomo la naturale “bontà” e preservarlo dalla corruzione presente nella società.

Il puerocentrismo di Rousseau 

Con Jean-Jacques Rousseau inizia una pedagogia puerocentrica, lontana dalla tradizione pedagogica del passato che ha dedicato ogni sforzo teorico per costruire un’educazione adultocentrica e individualistica.  
Il filosofo francese “operò una «rivoluzione copernicana» in pedagogia, mettendo al centro della sua teorizzazione il bambino” [Cambi, 2003]. Ad esempio, Rousseau sconsiglia di rivolgersi al bambino utilizzando “ragionamenti” da adulti ma cercando di utilizzare modalità vicine alla capacità infantile di pensare secondo categorie concrete.

L’educazione dell’uomo naturale capace di essere utile agli altri 

Secondo Rousseau l’educazione deve perseguire l’obiettivo principale di offrire alla società un uomo capace di essere utile agli altri e pronto ad agire per il bene collettivo.
La società per Rousseau ha una connotazione negativa. A differenza degli altri illuministi egli ritiene che la società corrompe gli individui. Lo sviluppo della società non comporta alcun progresso, al contrario Rousseau pensa ad una rifondazione delle istituzioni politiche e a una nuova educazione che sottragga i giovani alla corruzione morale. La società è corrotta, caratterizzata da disuguaglianze, abitata da individui condizionati, da “maschere sociali”
Il progetto di rifondazione delle istituzioni viene illustrato nell’opera Il contratto sociale (1762), nel quale Rousseau teorizza la nascita di uno Stato giusto, fatto di cittadini patriottici che esercitano i loro diritti.
La nuova educazione del cittadino viene invece illustrata nel romanzo pedagogico Emilio (1762), che narra le vicende del giovane Emilio che una volta diventato adulto contribuirà a rendere migliore la società, caratterizzata da libertà ed uguaglianza.

L’Emilio di Rousseau: riassunto, la pedagogia secondo natura



Ne l’Emilio, Rousseau immagina di seguire l’educazione di Emilio, un giovane orfano che verrà  condotto in campagna, dove crescerà sotto la guida vigile e attenta del suo precettore. Il tema principale del libro è l’opposizione fra “stato di natura” e “stato di civiltà”. La natura che esprime la positività dell’individuo non ancora corrotto e alienato dalla società.
Se l’uomo è buono per natura, l’educazione deve rispettare lo sviluppo naturale dell’individuo. Anche i fini e i metodi dell’educazione devono essere cercati all’interno della psicologia del soggetto.
Educare secondo natura significa per Rousseau creare un uomo nuovo capace di creare una nuova società.

L’educazione negativa 

Rousseau si fa promotore di un’educazione negativa, da intendere non come spontaneismo puro ma come mancanza di interventi diretti da parte dell’educatore, che si deve limitare a impedire le influenze negative dell’ambiente. «Se l’educazione comincia con la vita – scrive infatti Rousseau – il bambino è già discepolo, non del precettore ma della natura: il precettore non fa che studiare sotto questo primo maestro e impedire che le sue cure non siano ostacolate».

Compiti: la famiglia (Psicologia)


Pagina 179:

  • Quando la famiglia nucleare ha smesso di essere l’unico modello di famiglia possibile?
  • In che modo dimensione individuale e dimensione collettiva coesistono all’interno di un gruppo familiare?
  • In che cosa differisce l’antica famiglia patriarcale dalla più attuale famiglia mononucleare?
  • Gli studi di antropologia di fine Ottocento e del Novecento avevano evidenziato che la famiglia occidentale nucleare non rappresentava l’unica forma di famiglia possibile. 
  • Si sottolinea dunque la dimensione collettiva della famiglia, gruppo con propri bisogni e obiettivi, insieme alla dimensione individuale dei membri del gruppo da perseguire in autonomia. La coesione del gruppo può essere ottenuta se i componenti affrontano i problemi e i conflitti in modo aperto utilizzando le risorse specifiche di ogni comunità famigliare. 
  • Oggi le famiglie mononucleari rappresentano una tipologia in rapida diffusione.



Compiti: pensare, comunicare, classificare (Antropologia)


Pagina 132:


  • Qual è l’opinione di Lèvi-Strauss riguardo al pensiero “primitivo
  • Quale fu la prima forma di scrittura?
  • Quali espedienti usano i cantastorie per memorizzare i loro racconti?

  • Claude Lèvi-Strauss osserva in uno dei suoi libri come il primo non sia affatto privo di aspetti speculativi, riflessivi e teoretici. 
  • La scrittura vera e propria comparve in Mesopotamia ed è conosciuta come scrittura cuneiforme. 
  • Usano le tecniche mnemoniche per memorizzare i loro racconti.

Pagina 139:


  • Indica quali sono le potenzialità intellettive universalmente presenti negli esseri umani
  • Che differenza c’è fra lo stile cognitivo articolato e quello globale?
  • Di quali poteri si caricano le parole presso alcuni popoli?

  • La potenzialità intellettuale è la capacità di utilizzare alcuni meccanismi di pensiero, come astrazione, categorizzazione, induzione e deduzione, che è comune alle menti di tutti gli esseri umani.
  • Lo stile cognitivo globale è caratterizzato da una disposizione cognitiva che parte dalla totalità del fenomeno considerato per giungere solo successivamente alla particolarità degli elementi di cui si compone. Lo stile cognitivo articolato sarebbe quello che parte dalla considerazione dei singoli elementi dell’esperienza per risalire poi alla totalità. 
  • Nelle culture fortemente orali la pregnanza delle parole pare essere legata al momento in cui le parole stesse sono pronunciate. Anche noi, quando vogliamo dare particolare forza a ciò che diciamo, abbiamo la tendenza a muoverci in accordo con i sentimenti che tentiamo di trasmettere attraverso certe parole.


Pagina 150:


  • Quali conseguenze si possono trarre dalla definizione kantiana di tempo e spazio?
  • In quali modi viene concepito il tempo nelle diverse culture secondo Nilsson?
  • Che cosa fa di un luogo un “deposito di memoria”?

  • Tempo e spazio costituiscono delle “intuizioni a propri” universali. La capacità di percepire il tempo e lo spazio – cioè il fatto che la nostra mente si è strutturata in modo da avere la loro intuizione – è la funzione primaria della nostra attività mentale. Senza tale funzione non sarebbe possibile, per la mente, “dare forma” al pensiero
  • Nelle società “primitive” il tempo viene concepito in maniera puntiforme. 
  • Esistono luoghi “di memoria”: un luogo in cui avvenne un fatto importante per la storia di una nazione, di una città o per la nostra stessa vita, un luogo dove fu firmata una pace storica oppure un luogo che venne distrutto durante una guerra. Un altro ancora, dove furono sterminate migliaia di persone. I luoghi sono “depositi di memoria”: storica, nazionale, politica, religiosa ecc.

La famiglia che cambia: diverse normalità




Dare una definizione precisa di famiglia oggi non è facile. Sarebbe meglio parlare di famiglie, perché esistono diverse forme di organizzazione e strutturazione dei gruppi famigliari. Gli antropologi avevano evidenziato che già alla fine dell’Ottocento e Novecento la famiglia occidentale nucleare non rappresentava l’unica forma di famiglia possibile ma piuttosto una delle tante in cui può strutturarsi l’organizzazione famigliare, a seconda del contesto geografico, culturale e sociale. Però anche in una stessa società troviamo tipologie diverse di famiglia. 


Nel volume “Famiglie” Laura Fruggeri, riprendendo la descrizione elaborata da David Kantor e William Lehr negli anni Settanta, ritiene che “Entrerebbero così in questa categoria tutti quei gruppi famigliari che soddisfano la maggior parte dei propri bisogni definiti in modo collettivo e congiunto, che mettono in grado i propri membri di realizzare gli scopi definiti da ciascuno e che non impediscono sistematicamente e consistentemente ai propri membri di perseguire bisogni e obiettivi individuali”. Si sottolinea dunque la dimensione collettiva della famiglia, gruppo con propri bisogni e obiettivi, insieme alla dimensione individuale dei membri del gruppo da perseguire in autonomia. La coesione del gruppo può essere ottenuta se i componenti affrontano i problemi e i conflitti in modo aperto utilizzando le risorse specifiche di ogni comunità famigliare.

Tipi di famiglie



I colossali cambiamenti che hanno investito la popolazione negli ultimi 50 anni (l’invecchiamento conseguente al calo demografico, le migliorate condizioni economiche e sociali, i diritti di cui godono i cittadini) si sono ripercossi direttamente anche sulla fisionomia della famiglia, contraddistinta oggi, nel nostro Paese, da una diminuzione del numero di bambini. In passato la tipologia famigliare più diffusa era quella della famiglia patriarcale e l’organizzazione era a forma piramidale. 

Nel corso degli ultimi decenni si sono modificati considerevolmente la composizione, il ruolo e il significato della famiglia: si è giunti una struttura “orizzontale”, che tende a crescere per fratture e ricomposizioni e che non prevede né vertici né gerarchie. Oggi le famiglie mononucleari rappresentano una tipologia in rapida diffusione. Si sono poi moltiplicate le realtà con genitori separati e divorziati, le convivenze di fatto senza vincolo matrimoniale, quelle senza figli, con figli adottati ecc. 

Una configurazione diffusa è quella delle famiglie ricostituite o ricomposte, formate da due adulti, di cui uno o entrambi provenienti da un legame antecedente, con i figli nati dalle unioni precedenti e/o dalla nuova coppia. È fondamentale che i genitori acquisiti non sostituiscono quelli biologici, ma spesso vi si aggiungono. 


Esistono anche le famiglie miste e le famiglie di migranti. Queste famiglie rappresentano molto da vicino l’espressione dei cambiamenti sociali che hanno investito il mondo. Esse sono la dimostrazione di come si possano vivere e integrare le diversità in modi positivi e non conflittuali. 


Sono presenti infine nella comunità sociale anche esperienze famigliari alternative, come le convivenze di coppie omosessuali o alcuni tipi di convivenze comunitarie in cui i legami e il sostegno reciproco sono talvolta equiparabili a quelli riscontrabili nelle famiglie tradizionali. Alcuni studiosi fanno coincidere la famiglia naturale con quella tradizionale mononucleare, altri ritengono che allargando il concetto di famiglia a forme troppo alternative si rischi di generalizzare troppo il concetto, senza definire con precisione l’oggetto di studio. Altri studiosi ancora tendono a interpretare la famiglia attribuendole un preciso significato: il termine si riferirebbe a un determinato modello, quello della famiglia nucleare della società capitalistica, che viene criticato perché basato sull’ineguaglianza dei due sessi. Tuttavia, se si considera la famiglia come gruppo caratterizzato da forti legami affettivi molti studiosi e osservatori contemplano nelle tipologie famigliari anche le strutture alternative alla famiglia tradizionale. Parlare di famiglia oggi non può prescindere da un’attenzione alle differenze, alla molteplicità, senza enfatizzare un unico modello conforme alla norma come quello valido. 

lunedì 16 marzo 2020

L'EDUCAZIONE INTELLETTUALE



Le nuove condizioni relative alle facoltà cognitive dell'uomo richiedevano un aggiornamento dei metodi di insegnamento e dei programmi scolastici: nacque così l'educazione dell'intellettuale, ovvero un'educazione specifica di contenuti. Infatti, prima di queste riforme l'educazione era abbastanza sterile, e si limitava a fornire un'educazione generale e poco utile.
Dunque, la riforma stette nel fornire a chiunque, non solo ai grandi ricchi, una cultura ampia e specializzata.
Inoltre divenne obbligatorio l'insegnamento del latino come seconda lingua d'eccellenza (le materie venivano fatte in volgare).
La religione, però, rimaneva ancora di grande influenza.


LA FORMAZIONE DEL CARATTERE

Secondo Locke, lo scopo dell'educazione era quello di formare un giovane che si sapesse comportare: il gentelman, un uomo dotato di valori morali.  Oltre che a scuola, l'educazione ai valori morali doveva avvenire a casa, da parte della famiglia: era il padre o il precettore ad insegnare il buon comportamento e le buone maniere.
Anticipando alcuni principi pedagogici di Rosseau, Locke  sosteneva che il bambino si dovesse muovere, che il suo corpo dovesse essere abituato all'aria aperta.
 L'educatore rappresenta le leggi alle quali l'allievo deve sottostare, e a cui deve sottomettere la propria volontà per sapere gire e decidere in forma autonoma.
Le punizioni fisiche erano ovviamente abolite.
L'azione del precettore doveva essere moderata e paziente, nel rispetto delle capacità e dell'interesse dell'educato, sulla linea delle pedagogie di Ratcke e Comenio.



Locke e Rousseau : confronto tra educazione del Gentleman e del Buon Selvaggio


NUOVE PRATICHE EDUCATIVE: UNA NUOVA IDEA DELLA MENTE UMANA

Nel corso del Settecento in tutto il continente europeo, si svilupparono nuove tecniche educative, sia scolastiche che strettamente familiari, e proprio in questo periodo si andarono a configurare le norme pedagogiche attuali.
Una delle maggiori riforme fu il rinnovamento della concezione delle facoltà cognitive, che ebbe tra i suoi ispiratori John Locke: nacque una nuova idea del funzionamento della mente e delle capacità di apprendimento, mettendo in crisi l'idea dell'innatismo, secondo la quale l'uomo sarebbe nato con alcune idee già impresse nella mente. La migliore conoscenza dei processi mentali dell'essere umano portò all'individuazione della conoscenza nell'esperienza e nella capacità sensoriali ed intellettive. 
Da qui nacque l'empirismo, corrente filosofica secondo la quale il mondo debba essere conosciuto strettamente attraverso l'esperienza e attraverso i 5 sensi.

TUTELARE LA SALUTE DEI BAMBINI
Grazie anche alla spinta da parte della medicina infantile, nacque il sentimento di pietà nei confronti dei bambini, e un dovere di tutela e di cura nei loro confronti. Oltre che nella medicina, questa visione di perpetrò anche nella pedagogia: l'infanzia non era più un'età senza scopi, ma l'età dedita all'apprendimento, data la grande facilità di apprendimento che veniva riscontrata. L'infanzia viene adesso concepita come una tappa fondamentale nello sviluppo di un individuo, a cui doveva essere concesso di crescere  in modo sano e di integrarsi in un contesto sociale.
La tutela della salute dei bambini costituiva la migliore garanzia per la loro sopravvivenza e il fondamento di ogni educazione.
IL GRUPPO

Il gruppo come specifica dimensione psicologica è stato studiato soprattutto nell’ambito della psicologia sociale e della psicologia dinamica evidenziandone caratteristiche, limiti e potenzialità nei contesti sociali, organizzativi e psicoterapeutici.

Il gruppo in psicologia sociale

Nell’ambito della psicologia sociale i principali filoni di studio riguardano da un lato le dinamiche intragruppo (gli studi sull'identità, sui ruoli, sulla leadership, sulle relazioni tra i membri e sull'influenza sociale); dall'altro esiste un'ampia letteratura scientifica riguardante le relazioni intergruppo (le dinamiche di cooperazione e di conflitto con altri gruppi).
Per Kurt Lewin il gruppo è qualcosa di più della semplice somma degli individui che lo compongono essendo attivo un continuo interscambio sia fra l’individuo e il gruppo che tra il gruppo e il più vasto ambiente sociale in cui è inserito. E’ proprio la regolarità delle interazioni fra i partecipanti a costruire via via un’identità di gruppo, e quindi un vissuto di appartenenza ad una medesima realtà gruppale (si pensi agli alunni di una stessa classe scolastica).

Il gruppo fra categorizzazioni e identità sociale

Secondo la Teoria dell’identità sociale (Tajfel e Turner) due sono i processi psicologici fondamentali in un gruppo: la tendenza a percepire sé stessi e gli altri in termini di appartenenza a categorie sociali invece che come singoli individui minimizzando, così, le differenze intra-gruppo e massimizzando quelle con gli altri gruppi (categorizzazione); la tendenza a valutare i gruppi e gli individui prendendo come termine di paragone gli altri gruppi e, di conseguenza, la tendenza a percepirsi e a definirsi in modo positivo piuttosto che negativo (confronto sociale).

Il gruppo in psicologia dinamica e psicoterapia

Wilfred Bion è uno dei principali Autori psicoanalitici sul gruppo e la psicoterapia di gruppo. Il suo pensiero sottolinea quanto la dimensione di appartenenza gruppale solleciti, in varia misura, un conflitto fra desiderio di uniformarsi e quello di distinguersi come individui là dove le menti individuali partecipano al funzionamento psicologico globale del gruppo in modi non sempre razionali. Per Bion, in altre parole, in un gruppo, oltre ad un funzionamento psicologico esplicito, orientato al perseguimento degli obiettivi (es. i gruppi di lavoro), può sottendersi un funzionamento implicito e non razionale, potenzialmente in contrasto col primo, che è il risultato degli sforzi inconsci di ognuno a utilizzare il gruppo come mezzo di difesa dalle proprie angosce e insicurezze.

Il gruppo e le differenze individuali

Se assumiamo la concezione di gruppo come realtà psicologicamente autonoma, anche se in rapporto dinamico con le singole individualità che lo compongono, comprendiamo quanto risulti importante lo strutturarsi di un corretto equilibrio fra appartenenza ed autonomia là dove il gruppo può essere utilizzato per mettere a tacere voci di dissenso e omologare i suoi membri ad uno status quo, oppure favorire il cambiamento e la crescita valorizzando le specificità di ognuno.



lunedì 9 marzo 2020

Psicologia sociale :

Gli stereotipi:


Spesso e volentieri, purtroppo, le distorsioni cognitive e i biases possono portare alla formazioni di giudizi o percezioni che si rivelano poco accurati e disfunzionali per il nostro modo di percepire e relazionarci con l’altro.
Nella psicologia sociale il termine stereotipo, nacque in ambito tipografico molto tempo fa, e indicava gli stampi di cartapesta usati per le lettere. La caratteristica che li rendeva unici era il poterli utilizzare più volte perché molto rigidi e resistenti. Lippmann (1992), per primo introdusse questo concetto nelle scienze sociali asserendo che il processo di conoscenza non è diretto, ma mediato da immagini mentali costruite in relazione a come ognuno di noi recepisce e percepisce la realtà.
Gli stereotipi, dunque, sono delle particolari rappresentazioni mentali, o idee sulla realtà, che se dovessero essere condivise da grandi masse in determinati gruppi sociali, prenderebbero il nome di stereotipi sociali. Gli stereotipi sono molto simili a degli schemi mentali e per questo sono considerati affini alle euristiche. Permettono di attribuire, senza nessuna distinzione o critica, delle caratteristiche a un’intera categoria di persone, non curanti delle possibili differenze che potrebbero, invece, essere rilevate. Per questo, gli stereotipi sono spesso delle valutazioni o giudizi grossolani non del tutto corretti. Si tratta di idee difficilmente criticabili (rigidità degli stereotipi), in quanto ancorate alla provenienza culturale o alla personalità.
Insomma, lo stereotipo non è nient’altro che un giudizio che si forma su una determinata cultura o classe sociale. Questo giudizio può diventare pregiudizio quando non deriva da una conoscenza diretta, ma appresa. Il più delle volte si tratta di valutazioni spicce legate sempre a giudizio negativo non sottoponibile alla critica. Non si tratta di un concetto errato, sbagliato, ma di un pregiudizio vero e proprio. Un pensiero, dunque, diventa pregiudizio solo quando resta irreversibile anche alla luce di nuove conoscenze. Il pregiudizio su alcune categorie di persone, spesso, induce a modificare il proprio comportamento sulla base di queste credenze. Si creano, così, condizioni tali per cui le ipotesi effettuate sulla base di pregiudizi ineluttabilmente si manifestano e la conseguenza è andare a confermare gli stereotipi.
È possibile eliminare i pregiudizi? Non è qualcosa di immediato, perché i pregiudizi hanno delle basi molto solide confermate da credenze fortuitamente verificatesi. Solo una grossa forza di volontà e intenzione di entrare realmente in contatto con l’altro potrebbe portare, alla lunga, a mettere in discussione queste forme di rigidità di pensiero.

La costruzione del Sè:

Nella psicologia sociale si indaga come avviene la costruzione del sè. Il processo mediante cui l’individuo si autovaluta è dovuto anche alle attribuzioni causali: le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa. Sovente si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, come ad esempio la tenacia.
Definire il costrutto di autostima non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che ha un’ampia storia di elaborazioni teoriche.
L’autostima di una persona non scaturisce esclusivamente da fattori interiori individuali: hanno una certa influenza anche i cosiddetti confronti che l’individuo fa, consapevolmente o no, con l’ambiente in cui vive. A costituire il processo di formazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e il sé ideale.
Il sé reale è una visione oggettiva delle proprie abilità, corrisponde a ciò che noi realmente siamo. Il sé ideale corrisponde a come l’individuo spera e vorrebbe essere. L’autostima scaturisce dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali. Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.
La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale. Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).
Possedere un’alta autostima è il risultato di una limitata differenza tra il sé reale e il sé ideale. Significa saper riconoscere in maniera realistica di avere sia pregi che difetti, impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzando i propri punti di forza. Tutto ciò enfatizza una maggiore apertura all’ambiente, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità. Le persone con un’alta autostima dimostrano una maggiore perseveranza nel riuscire in un’attività che le appassiona o nel raggiungere un obiettivo a cui tengono e sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco. Si tratta di persone più propense a relativizzare un insuccesso e ad impegnarsi in nuove imprese che le aiutano a dimenticare.
Quando la stima di sé è alta l’individuo passa molto frequentemente all’azione, rallegrandosi di fronte a un successo e relativizzando un eventuale fallimento.  Al contrario, una bassa autostima scaturisce da un’elevata differenza tra sé ideale e sé percepito. Questa discrepanza può condurre a una ridotta partecipazione e a uno scarso entusiasmo, che si concretizzano in situazioni di demotivazione in cui predominano disimpegno e disinteresse. Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza. Spesso si tende a evadere anche dalle situazioni più banali per timore di un rifiuto da parte degli altri. Si è più vulnerabili e meno autonomi. Le persone con una bassa autostima si arrendono molto più facilmente quando si tratta di raggiungere un obiettivo, soprattutto se incontrano qualche difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano. Si tratta di persone che faticano ad abbandonare i sentimenti di delusione e di amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso. Inoltre, di fronte alle critiche, sono molto sensibili all’intensità e alla durata del disagio provocato. Quando la stima di sé è bassa, l’individuo passa raramente all’ azione, dubitando di fronte ad un proprio successo e sottovalutandosi di fronte ad un fallimento.
Ma cosa concorre a far sì che un individuo si valuti positivamente o negativamente? Come già detto non sono semplici fattori individuali a costituire l’autostima di una persona, bensì ci si autovaluta in merito a tre processi fondamentali:
1. Assegnazione di giudizi da parte altrui, sia direttamente che indirettamente.
Si tratta del cosiddetto “specchio sociale”: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo. Pare che gli individui alimentino la propria autostima sulla base della fiducia nelle opinioni di chi li giudica favorevolmente. Una rilevanza evidente le hanno in questo processo anche le valutazioni indirette, ossia la possibilità di imparare a valutare se stessi a seconda del comportamento degli altri nei propri confronti.
2. Confronto sociale: ovvero la persona si valuta confrontandosi con gli altri che la circondano e da questo confronto ne scaturisce una valutazione. Festinger (1954) ha sostenuto che in ogni individuo c’è un’esigenza di valutare azioni e capacità personali e, nel momento in cui i criteri soggettivi di valutazione sono assenti, si tende a valutare se stessi confrontandosi con altri, solitamente soggetti ritenuti simili.
3. Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri. Kelly (1955) considera ogni persona uno “scienziato” che osserva, interpreta e predice ogni comportamento, costruendo così una teoria di sé per facilitare il mantenimento dell’autostima.
Alla luce di queste considerazioni si evince quindi che l’autostima è un concetto complesso che viene a formarsi sulla base di varie fonti, sulla base delle quali l’individuo si valuta e si attribuisce un voto. Senza dimenticare che si tratta di un costrutto multidimensionale, nel senso che il soggetto può valutarsi differentemente anche in merito alle situazioni in cui si trova a vivere; per esempio è possibile che un individuo abbia un’alta stima di sé sul luogo del lavoro, dove ciò che egli realmente è si avvicina notevolmente al sé ideale, di contro potrebbe valutarsi negativamente nell’ambito dei rapporti interpersonali, dove magari potrebbe aspirare a volere qualcosa di più rispetto a ciò che egli possiede realmente.
In conclusione appare chiaro che l’autostima si sviluppa tramite un processo individuale ma anche interattivo – relazionale e può essere concettualizzata come uno schema cognitivo – comportamentale che viene appreso man mano che gli individui interagiscono con gli altri e con l’ambiente.
 La costruzione dell’identità sociale:

Un altro tema del quale si occupa la psicologia sociale è quello dell’identità sociale. Nel corso del ciclo vitale l’individuo costruisce l’identità sociale. Tale costrutto è composto da due dimensioni, una privata per se stessi e una pubblica per gli altri. Spesso l’identità per sé contiene le costrizioni che le agenzie formative hanno imposto durante l’età evolutiva. Nelle situazioni di stress capita, sovente, di percepire con più forza questi vincoli e allora non resta che riscoprire se stessi, in un’ottica liberatoria, per ristabilire l’equilibrio psicologico.
Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/tag/psicologia-sociale/

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